au-delà des limites. beyond the expectations. oltre il confine.

Categoria: Poesia Pagina 1 di 2

La verticale

Foto di Costea Alexandra su Unsplash

Da bambina
andavo in verticale
a testa in giù
guardavo il mondo rovesciato
in equilibrio
sopra un duro orizzonte

i capelli sfioravano la terra
in giardino, i vermi
mi salutavano
con un breve inchino del corpo

camminavo sulle dita
come camminano gli uccelli

a tutti parlavo, alle formiche
agli scarafaggi, alle piccole
fragole che ingiallivano
senza mai diventare rosse

e le gambe traballavano un poco.

Crescevo, nella grazia di Dio,
con moto inverso, i piedi
solleticando il cielo, interferendo
col volo nervoso delle mosche

sotto la mezzaluna delle unghie
si formava il terriccio,
le dita sempre più a fondo
crescevano nella terra
come radici
si allungavano dentro

io poi, con quei piedi a mezz’aria,
sono andata nel mondo
e quel mondo l’ho riportato alle mie mani
e ogni volta che l’ho detto
ogni volta che l’ho pronunciato
l’ho trovato sempre
bene ancorato in quel giardino.

Terraferma

Poi veniva l’estate
col verde negli occhi
fuori era un pieno
di rondini, api
e tempo ancora.

La dama per colazione
al mattino, il tris,
il conto spaiato
delle monete
da cinquecento lire.

Mi crescevi nel cuore
come un padre,
le tue radici
diventando mie.

Tu riponevi in me
l’umano, il sogno
la terraferma e il volo,
l’ambizione di essere
solo ciò che sono.

Allora ero argilla,
seme, voce molle
che imparava la tua
e di tutto
facevamo catalogo:
mostravi e io
vedevo studiavo bevevo
con la gola arsa della pianta.

Non sapevo del segno
impresso a calce
contro le rovine venture
– oggi chi sono:
femmina e voce
gli occhi due fari
per guardare meglio.

(non lasciarmi andare)

Photo ©  Paola Casali

(non lasciarmi andare)

Mi sveglia la canzone di Alabama
allungo le gambe alla parete.
Tra fili d’edera e fiori di gelsomino
il tuo sorriso. Poi i tuoi occhi.

Well, show me the way.

Ti incontro nei volti, in un film, nei libri
tra la schiuma di una birra,
nella fetta di pane e marmellata.
Fai male sin dal mattino.

Un sasso scende lento nella gola
lo sguardo grigio attraversa la pelle.
Sottraggo al vocabolario di negazione
un appiglio per saltare l’invisibile confine.

Ça suffit mon amour.

Coi sì, ma invece no, ci sei e poi non ci sei
dondolii che superano i cieli
bruciano il paradiso e affogo con le stelle
potrei andare via, scappare.

Tingere il tempo con la vernice tra i capelli
andare a Telendos
distendermi sotto una tamerice
strappare le radici amare.

Rinascere, farmi madre di me.
Ma stai scritto sulla mano,
nel sangue e forse ancora
nei mille milioni di volteggi del mondo.

Non lasciarmi andare.

Ai panni

Foto di Mulyadi su Unsplash
Ai panni
è bastato un bucato;
al cuore una compressa,
alla pancia un pianto vero.

Unico rovello?
Eradicarlo dal cervello.

Lì senza un rumore
incanto senza tempo oltre il dolore
traccia persistente (tu, piuttosto, assente!)
indelebile 
incolore
l'odore che rimava col tuo amore.

L’odore della sera

Foto di Masaaki Komori su Unsplash
L’odore della sera è per me da sempre

la pompa gialla dell’acqua
slegata intorno ai piedi,

l’odore impastato di terra,
di fogna, di steli.

Serpente che avvolge la casa
a nutrire il giardino,

rituale che chiude la vita del giorno, di tutte le cose.

Trittico della luce

Foto by Dyu – Ha on Unsplash
Alba
Tira il lembo, piano, fallo
con amore e la notte si
arrenderà di nuovo, per
il giorno nuovo alla luce
dell’alba rosata di cui 
contiamo le dita e solo
dopo, poi, facciamo silenzio.
Silenzio senza preghiera e
redenzione dello sguardo.

Mezzogiorno
Dove si nascondono i nostri
demoni meridiani? Dicono
di cercare nell’ombra, ma
io credo che la luce sia proprio
il miglior nascondiglio. Eccoli
che gemono e chiedono
rifugio, ma noi possiamo
solo scriverli tra le fratture
del giorno che esplode ancora
e ancora nei nostri occhi.

Occaso
La prima benda era l’alba 
rosata, la seconda solo
luce meridiana e cieca.
Così procede il giorno,
ferita dopo ferita e
arriva di nuovo nel
nido della notte questo
desiderio di vita che
si rinnova nonostante
gli anni, luce dopo luce.

01/02/2023 - 22/05/2023

*, **, ***

Photo by Danny Howe on Unsplash
*
Concentrarsi per 
sentire quel 
gracidio di note
valicare i
sedili davanti e
il caldo di 
quella luce del 
finestrino sulla guancia
l’alba che 
andavamo al mare.


**
Nel freddo stamattina 
la signora ha le 
caviglie gonfie e dà i 
santini a chi la guarda e
le foglie
le circondano i piedi di 
una luce
rossa come
le sue mani.


***
Uccelli intorno a 
una pozzanghera di
sole. E abbattuta fuori
una neve di specchi 
un silenzio 
breve di visi 
e di nasi trasparenti 

senza fiato.

L’azzardo a portata di mano

Photo by Ijon Tichy on Unsplash

marzo 2023

Un bel blu all’orizzonte è l’azzardo del cielo 
Blu senza il sole che riflette la vita e
si accende e si accende 
Blu come questo tempo che scivola
che corre, nella fretta dei passanti 
nella mente dei drogati, degli alcolisti 
dove invece è lento 
è schiacciato
il sole che acceca
Il sole che muore

Muore il blu contro di loro mentre noi
mentre noi contempliamo l’azzardo 
l’azzardo dell’orizzonte
del blu – impazzito - del tempo, 
Il tempo senza un padre 
morto nella pozza di un sole blu
sole prodigioso, che scalda, 
che protegge, ancora. 

Allora mi chiedo: 
come rendere la speranza, dove la speranza non è mai stata
se non uno strato di blu su di uno strato di blu
e ancora sfumature e ancora derive 
di rimmel sbavato su guance ruvide, arrossate dal freddo
dalla Prussia, dal cobalto, dai suoi occhi di vetro
occhi come biglie
      -     ora sono l’orizzonte, l’azzardo del tempo

La montagna

Photo by Lorenzo Lamonica on Unsplash
esse te ne stivi senza dì gnente
gli zoccoletti consumati nel tacco
ti facevano più grossa di quell che n'eri
guardavi guardavi muta
sta montagna che bruciava e sospiravi

assettata su sto blocchetto de cemento 
j’occhi persi dentr’aje fum’ e le fiamme:
non ce potevi i' più, mò, pe' quii sentieri, 
pe' quelle brecce
quanti cascatuni, quante sfracellate
senza sosta, nemmanco pe’ scherzà,
arrancando pe' quella via Crucis 

chissà se dentr’a sto lettino 
la fatica de je respiro te
rassomigliava alla salita pe' lla montagna
quann da vajoletta facivi a gare colle cugine 
e lascivi soreta sempre dietro a lagnasse

chissà se tutte le Avemmaria dette a 
ogni stazione 
t'hanno accompagnato il ricordo 
deje sole e deje bosc’
quann invece stivi chiusa e isolata

chissà

e invece le vô sapé,
j'occhi té 'nfussi, 
me dicevano lo stesso de allora, 
quanno te ne stivi senza dì gnente
gli zoccoletti consumati nel tacco,
che te facevano più grossa di quell che n'eri,
guardavi guardavi muta
sta montagna che bruciava e sospiravi

Dopo

Foto by Joe Deutscher on Unsplash
L’amore in fondo
tutto il male del mondo il giorno dopo
dopo la notte dopo la burrasca
e la moka sotto lo scroscio dell’acqua
proprio come il solito mattino
nel gorgo i grumi del caffè.
Sotto agli occhi mezzelune scure
scuro è il cielo (novembre) scura la porta chiusa.
Scusa dirà.
Mette le tazze bianche sul lavello.

Capodanno

Oramai siamo tutti vecchi 
ma ci pensiamo
come nelle foto
alla croce
con i capelli al vento
abbracciati e atletici
ci pensiamo ballare e innamorarci
degli altri e fra di noi
una cogli occhi truccati d’argento
un’altra sdraiata sulla spiaggia
che fa ciao
e lui con la cravatta spiritosa e i denti storti
ci pensiamo sempre così
e non sbagliamo.
Sarà lei che non scopre più le ginocchia
ma ancora porta il rosso
o lui
che non si è mai sposato
o quell’altra
coi cani da portare al parco
il primo chi sarà
non sappiamo
né come
ma che un giorno saremo uno di meno questo è certo
scommettiamo
dopo i brindisi di Capodanno
quando le scarpe cominciano a fare male
e i giovani sono irraggiungibili.
Beati loro diciamo
ma non pensiamo davvero
che abbiano amori caldi come i nostri
e di nuovo qualcuno distribuisce le carte
e facciamo un altro giro 
di notte e di bicchieri.
E intanto ci innamoriamo ancora
e non smettiamo
di un attore nemmeno tanto bello
o della figlia di un amico
o di un racconto.

Il tuo nome


Photo by sanjiv nayak on Unsplash
 
Vorrei chiamarti col nome delle cose,
poggiata tra un giocattolo e l’ombrello,
con una voce immaginata,
che appesa al mio volante
chiede scusa al colore delle nuvole,
senza spazio tra le labbra
sotto questa maschera aperta.

Ma il nome in cui tua madre ti ha avvolta
suona più a lungo di due sillabe
ubriaca il mio viso e mi frigge nella voce.

Il tuo nome è brandello di pagine
senza il cuore di una virgola.
Oggi da lontano 
aggiusto sulle tue labbra
il suono del mio.

Cerniere

Mi sorridono e questo lenzuolo di bianco silenzio
loro lo chiamano normale paura 
e mi chiedono un dito puntato sui miei anni di te.

Sono arrivata qui per la tua strada 
mi hai trovata bambina
imparavo a stare in posa per una cornice
e il loro star male
me lo curavano in jingle annacquati
che io ricalcavo in un disegno di me adulta.
La bambola con la treccia me l’aveva regalata papà:
«ti piace tanto giocare a fare la mamma»
e io la tenevo custodita nella mia borsetta di bimba
chiusa con la cerniera.

Di papà avevi le mani 
grandi e forti e la tua voce
cadeva e accompagnava il loro battere: era la cura
da quel cieco giardino di ovatta colorato 
dal pastello leggero di ogni giorno.

Me lo imprimesti nella pelle a mani, a voce
quel canto senza specchi, senza terra per i piedi
e se cadevo per annusare il profumo dell’erba
tu mi rialzavi:
«ti piace troppo giocare a fare la bambina».
Vogliono questo dito puntato contro di te
per restituirmi il tuo nome
con la ceralacca del malvagio.

Le cerniere rosse di pelle ricucita a filo,
che toccando il lenzuolo silenzioso
ancora bruciano sulla schiena, sul viso
custodiscono
quello che tu mi hai lasciato, amore.

Non posso chiamare papà
non posso bruciare anche in lui.

Pagina 1 di 2

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén