au-delà des limites. beyond the expectations. oltre il confine.

Categoria: Poesia Pagina 1 di 3

Mercoledì –

Photo by K. Mitch Hodge on Unsplash
Mercoledì - 
allo scoccare delle tredici
la nostra soglia di casa
diventa la tua tomba.

Nascondo nel tuo grembiule
una scatola di bottoni
Torre del Silenzio 
in cui smembro ricordi.

Sei di stanze altissime ormai
bianche e senza tensione
- ti prende il vento 
che ti lascia a piedi scalzi.



Mi disegnavi rami di ciliegio
sulla linea della vita
il tuo strascico nuziale
era il marmo che ti copre.

Avevamo giorni di deserto
spirali di fumo all'ultimo piano
febbraio appeso alle gambe
per un'altra scalinata di luce.

Di quel pellegrinaggio
non è rimasto niente
il daino coi suoi palchi 
ci ha distrutto tutti i letti.

 

Sei nata con la fioritura 
dei rododendri 
sulla strada da Santa Maria 
a Palazzo Bonifacio 
eri tinta di rosso

io ero bianca
cielo affilato come ossa

non c'erano lupi alle dieci
alla prima doglia 
ti sei inginocchiata
tra la montagna
e il parcheggio abbandonato

la gazza ladra e la cornacchia
avevano già nascosto il nido
ti avevano già lasciata sola.



 

navi affondano

Foto di Nahid Hatami su Unsplash
navi affondano
il mistero del silenzio
 
salutati i baci
delle ombre a cui
sbocciavano ali
 
tentennavo
marciume
colava nelle
serre
delicata
goccia letale
 
educata a
sentirmi mia
tra i cuscini
dello Spirito
vegliardo
mi riconoscevo
 
e abdicavo
la punta delle dita
a ponte
per un respiro
crollato:
 
cado curva
cucchiaino
al miele.

~

la schiena cola
a picco
nell’umore sudato
starnutisce il setto
deviato dall’anima
fatica il livore
 
eradico
il risultato spento
messa magica
la pena redetta
 
l’ululato si appresta
tra i tonfi di Berenice
uno scheletro di silicio 
ride - e io 
gli tendo la mano
 
rovesciata
aria
portami via.

L’inchiostro della nebbia

Foto di Tim Foster su Unsplash
crip crip. 
L’inchiostro della nebbia
sbrina la ringhiera
la tv gorgoglia accesa
sbrocca la caffettiera.
 
Ciaspolano
le tende sul balcone
il vento risale da Nord-Est
secondo i mattinali.
 
Al plenilunio
mi fermo ad annusarti
un gatto fulvo
che mastica legnetti.
 
Tizzoni d’ambra
scorticano il silenzio
i vivi hanno raccolto
la luce per l’inverno.

 6.42

Foto di Max Shturma su Unsplash
Cella
la vita
imparata coi palmi

un’ellisse  
di ripetizioni di minuzie 

tralasciando
le foreste di angoli in fiamme 
lì fuori.

La luce 
che entra comunque 
ha portato il baratto 
della libertà dei secondini
per gli occhi degli ergastolani 

garze lente 
sulle dita del giorno 

esercizi complessi 
contro l’indulgenza.

S’impara piano
la compressione del torace. 

Ordine

Dato
tutto il dolore 
dato 
verrà comprato un quartino 
e le pareti divisorie sfondate.

Un muratore romeno
e la bottiglia di plastica 
bianca per metà
aspetteranno la paga. 

Nelle nostre tasche 
le costole di corvo 
non saranno diventate
ancora sonanti.

Ridai a noi 
come ai nostri debiti d’ossigeno 
una parte di pace 
ordinata da lontano. 

Paroxetina 20 mg
per dare un nome al citofono.
Vale come agnus dei a voi, 
Oh corrieri, vi prego suonate
tutte le campane delle vostre strade.

Trema

Foto di José Ignacio García Zajaczkowski su Unsplash
Trema
in volo la falena.
È l’esito del tempo,
ma l’ansito dura poco.
Non vado avanti, mi umilia
lo strappo, la ripetizione
patologica del mio cinismo.
Per amore tuo, non smetto
di parlare. Poi dico, parla tu.
C’è qualcosa, viso nel tuo viso
che ricorda la falena
lontana dai tremori,
ma non passo, non passo
la collina sonnambulo
mentre lavoro per voi.

 in tre movimenti (Apeiron)

Foto di Ihor Malytskyi su Unsplash

dice che tutti un giorno si va dice che siamo portati
in Brasile in grandi camere vuote dove nessuno
parla italiano anzi proprio non parlano affatto
con finestre da cui vedi solo la notte la luce
e non senti più il tempo e non senti neppure il dolore 
per cui se vi sembra che siamo ormai persi di testa
è per questo mi dice è che già ci troviamo in Brasile
in stanze rivolte a occidente perché da infinito
veniamo mi dice veniamo e a infinito torniamo

Ah, se non fossi astemia!, dopo il terzo
bicchiere ricorderei tutti gli accenti
masoretici, gli aoristi, la forma di alif maqsurah,
il frammento B1 di Anassimandro,
la playlist con la quale i trovatori
importarono l’amore in occidente. 

Ma anche a tè e gazose so che ci sei
pure se non so dove, Tebaldi, e ti parlo
come ora che invano provo a tradurre
Bereshit 1:2, dove è deserto e tenebra
e il suo respiro aleggia sulle acque. 

E anche da astemi tutto si confonde:
lettere che disegno e non so leggere,
verso Ostellato i campi d’immanenza,
vecchi giri in palude e le tue foto;
e maqqep si confonde con midbar,
la camera oscura con la notte.

Tu non credere mai nell’assenza
ti dico ora e ti dirò anche poi
con foto federe tazze con i tessuti
delle voci nei colori ma intanto 
finché son qui con la mia voce come
in certe poesie piene di verbi
al modo imperativo ora ti dico ascolta
nell’assenza non credere mai

Ciò che guarda modifica

Foto di Geetanjal Khanna su Unsplash

Ciò che guarda modifica
così la fisica quantistica
ma quanto 
anche lo sguardo che manca
muta la forma
mutila
scolpisce con l’assenza

Ti allontani
e qualcosa si allenta
muta mi guardo mutare
non il cuore battente 
o i polmoni
ma le piccole squame
sul corpo
ho creduto per poco
all’idea 
di nuotare di nuovo
sottacquea
ora ho chiaro i dettagli
quei tagli non erano 
branchie davvero

Avere anima anfibia
nel fango secco arida
anni minuti giorni
in assenza di sentire
in insensata attesa
di parole e di pioggia

Ci siamo riconosciuti negli occhi

Foto di Patrick Hendry su Unsplash
Ci siamo riconosciuti negli occhi
attraverso la nebbia 
delle otto del mattino
ci siamo sfidati a vicenda
a infilare collane di squame
perse lungo la strada
senza fare domande
spartendoci le briciole
siamo sopravvissuti per anni.
Se di questi talismani
assemblati coi ricordi
non resta nulla nelle tasche
però la soglia
l’abbiamo attraversata insieme
un palpito e un passo solo
tenendoci per mano.

Devo immaginare che la mia splendente cima

Foto di Phil Baum su Unsplash
Devo immaginare che la mia splendente cima
sia la notte rovesciata
contro il guscio troppo aperto. Dure
le parole. Il bacio piange
dal mio solo sguardo, il resto è neve
dove mi hai graffiata,
bestia di un aratro d’oro
che splendeva sopra un altro campo.
E a te piaceva,
come quando un fiore appare troppo
in alto, come quando il rosso
preme contro il cielo. 
E tu hai voluto,
perché il fiore stava sulla cima;
e io ho voluto come il fiordaliso 
arreso sul selciato
quando crede alle montagne,
quando è fiamme il petto
e scava anche l’aratro, poi
la pioggia,
che non cade se non cado adesso,
che non può bagnarmi
se per qualche assurdo caso del mattino
il mare si ritira
e ogni parola appare.

non se n’era mai visto uno

Foto di Max Gotts su Unsplash
non se n’era mai visto uno
prima di stanotte eppure 
nel buio pesto un passo
falso il mio braccio 
l’ha scontrato
lo scorpione 

il cuore ha soffiato
nelle orecchie il fiato 
nel naso e tremavo 
ma non lo sapevo

lo dice mio fratello 
la sua torcia
fissa la creatura scura
nella fessura del muro 
della rimessa, dice 
questo
ti ha pizzicato
è proprio questo
un destino 

Di notte

Ci sono le cose da fare 
al buio: schivare le rose 
tenere una torcia in tasca 
per ogni conquista una tacca 

attraversare il silenzio, correre 
dietro una benda scegliere 
unʼarma, rubare provviste 
seguire il branco, urlare 

ululare alla luna 
perdersi al Noce, dare 
dire la conta, trovare 
riparo dalla bestia feroce 

croce sul cuore 
giurin giurare. 

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