Cinque declinazioni di legami e altrettanti consigli di lettura.
KRAPFEN
« […] così poco per volta, arrivavo a mettere insieme la somma per il libro. La tentazione di fare per una volta come molti dei miei compagni, e cioè di comprarmi davvero un Krapfen e mangiarmelo davanti a tutti, perdeva quasi ogni consistenza se la paragonavo alla meta che mi ero prefisso. Al contrario, mi piaceva stare a guardare un amico mentre divorava il suo Krapfen e provavo una sorta di voluttà, non saprei come altro definirla, immaginando la sorpresa della mamma quando le avremmo consegnato il libro in regalo»
La lingua salvata di Elias Canetti, Adelphi, 1980
Uno strano parallelismo accomuna i genitori a certi libri, è quel legame viscerale e fortissimo che si instaura con chi dà la vita. Quanti orfani sono stati allevati dai libri e, viceversa, quante donne e uomini sono nati – per davvero – grazie ai libri più amati? Non è un caso che nel parlare comune si accosti la lingua a una madre: è nelle parole che, in fondo, si conserva il segreto dello stare al mondo.
ABBRACCIO
«Me lo immaginai mentre scendeva trotterellando verso l’albergo, dopo l’abbraccio; cosciente della propria statura, della propria stanchezza, del fatto che l’esistenza del passato dipende dalla quantità di presente che gli affidiamo, e che è possibile dargliene poca o non dargliene affatto»
Gli addii, di Juan Carlos Onetti, SUR 2021
Si riconosce il sopraggiungere del tempo dell’abbandono da un’elettricità dell’aria, a cui fa eco la consapevolezza del trovarsi sulla soglia – affilata – di due momenti, che danno l’idea di vivere contemporaneamente nel passato e nel futuro. E quanto più forte è stato l’attaccamento, tanto più tragico sarà il distacco.
RIFLESSI
«Allora, col tormento e la superbia della conoscenza, venne la solitudine perché egli non tollerava la vicinanza dei bonari, degli innocenti dallo spirito gaiamente ottenebrato, e d’altronde il marchio sulla sua fronte li conturbava. Ma sempre più dolce divenne in lui il piacere della parola e della forma, e soleva dire (e anche questo l’aveva già scritto) che la sola conoscenza delle anime avrebbe condotto immancabilmente alla tristezza, se i piaceri dell’espressione non ci conservassero desti e vivaci…»
Tonio Kröger, di Thomas Mann, Einaudi 1993
Vivere nel riflesso di se stessi, nell’impossibilità di dare una forma precisa al proprio essere. Questo dramma, che crediamo spesso essere esaurito con la gioventù, sembra riproporsi ciclicamente nel corso della vita. La constatazione si riempie di angoscia, ogni volta, fino a quando non la si allevia con qualche arte, che diventa distrazione e insieme conforto.
CATENA
«Neppure la Tua diffidenza verso gli altri è tanta quanta quella che provo verso me stesso, e ad essa Tu m’hai condotto. Non nego una certa legittimità all’obiezione, che d’altronde reca un nuovo contributo alla qualificazione dei nostri rapporti. Nella realtà, naturalmente, le cose non possono combinarsi come le prove nella mia lettera, la vita è qualcosa di più che un gioco di pazienza; ma con la rettifica che risulta da quell’obiezione, e che io non voglio e non posso applicare ai particolari, si raggiunge a parer mio qualcosa di così vicino alla verità, da poterci forse tranquillare un poco e rendere più facile la vita e la morte»
Lettera al padre, di Franz Kafka, Mondadori 2019
Un peccato originale, una colpa da espiare. Così sembrano essere alcuni legami di nascita: delle catene piombate, indissolubili. E l’anima è soggiogata, sottomessa a una sorta di volontà superiore. Quanto coraggio ci vuole per uscire dalla caverna e guardare in faccia il sole? Forse meno di quello che ci aspetteremmo, ma bisogna crederci.
RINGRAZIAMENTI
«Olive dovette davvero imporsi di non dire, Ai miei tempi c’era l’abitudine di ringraziare qualcuno se ti mandava un regalo. No, Olive dovette fare proprio uno sforzo per non lasciarselo scappare, ma non lo disse, e, dopo qualche minuto, Ann disse ai bambini: – Avanti, su, andiamo a letto. Date un bacio a papà -. E i bambini si avvicinarono a Christopher e lo baciarono, poi passarono davanti a Olive senza nemmeno guardarla. Orrendi, due bambini orrendi, e orrenda pure la loro madre. Ma il piccolo Henry a un tratto scese divincolandosi dalle ginocchia del padre […] – Ciao, ciao – disse lui. E le pose la sciarpa dicendo – Grazie – . Be’ questo sì che era un Kitteridge. Un Kitteridge fatto e finito.»
Olive, ancora lei, di Elizabeth Strout, Einaudi 2020
C’è un trauma naturale insito nell’accorgersi del tempo che passa, che porta a non accettare il cambiamento, a cercare in chi viene dopo di noi quello che più ci somiglia, come una forma di nostalgia o di una speranza di riscatto per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Ma un sorriso inconsapevole può alleviare una vecchiaia indispettita, tutti i nonni – veri o adottati – lo sanno.
In sottofondo, kisses, Slowdive