au-delà des limites. beyond the expectations. oltre il confine.

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Cinque declinazioni di legami e altrettanti consigli di lettura.

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KRAPFEN

« […] così poco per volta, arrivavo a mettere insieme la somma per il libro. La tentazione di fare per una volta come molti dei miei compagni, e cioè di comprarmi davvero un Krapfen e mangiarmelo davanti a tutti, perdeva quasi ogni consistenza se la paragonavo alla meta che mi ero prefisso. Al contrario, mi piaceva stare a guardare un amico mentre divorava il suo Krapfen e provavo una sorta di voluttà, non saprei come altro definirla, immaginando la sorpresa della mamma quando le avremmo consegnato il libro in regalo»

La lingua salvata di Elias Canetti, Adelphi, 1980

Uno strano parallelismo accomuna i genitori a certi libri, è quel legame viscerale e fortissimo che si instaura con chi dà la vita. Quanti orfani sono stati allevati dai libri e, viceversa, quante donne e uomini sono nati – per davvero – grazie ai libri più amati? Non è un caso che nel parlare comune si accosti la lingua a una madre: è nelle parole che, in fondo, si conserva il segreto dello stare al mondo.

ABBRACCIO

«Me lo immaginai mentre scendeva trotterellando verso l’albergo, dopo l’abbraccio; cosciente della propria statura, della propria stanchezza, del fatto che l’esistenza del passato dipende dalla quantità di presente che gli affidiamo, e che è possibile dargliene poca o non dargliene affatto»

Gli addii, di Juan Carlos Onetti, SUR 2021

Si riconosce il sopraggiungere del tempo dell’abbandono da un’elettricità dell’aria, a cui fa eco la consapevolezza del trovarsi sulla soglia – affilata – di due momenti, che danno l’idea di vivere contemporaneamente nel passato e nel futuro. E quanto più forte è stato l’attaccamento, tanto più tragico sarà il distacco.

RIFLESSI

«Allora, col tormento e la superbia della conoscenza, venne la solitudine perché egli non tollerava la vicinanza dei bonari, degli innocenti dallo spirito gaiamente ottenebrato, e d’altronde il marchio sulla sua fronte li conturbava. Ma sempre più dolce divenne in lui il piacere della parola e della forma, e soleva dire (e anche questo l’aveva già scritto) che la sola conoscenza delle anime avrebbe condotto immancabilmente alla tristezza, se i piaceri dell’espressione non ci conservassero desti e vivaci…»

Tonio Kröger, di Thomas Mann, Einaudi 1993

Vivere nel riflesso di se stessi, nell’impossibilità di dare una forma precisa al proprio essere. Questo dramma, che crediamo spesso essere esaurito con la gioventù, sembra riproporsi ciclicamente nel corso della vita. La constatazione si riempie di angoscia, ogni volta, fino a quando non la si allevia con qualche arte, che diventa distrazione e insieme conforto.

CATENA

«Neppure la Tua diffidenza verso gli altri è tanta quanta quella che provo verso me stesso, e ad essa Tu m’hai condotto. Non nego una certa legittimità all’obiezione, che d’altronde reca un nuovo contributo alla qualificazione dei nostri rapporti. Nella realtà, naturalmente, le cose non possono combinarsi come le prove nella mia lettera, la vita è qualcosa di più che un gioco di pazienza; ma con la rettifica che risulta da quell’obiezione, e che io non voglio e non posso applicare ai particolari, si raggiunge a parer mio qualcosa di così vicino alla verità, da poterci forse tranquillare un poco e rendere più facile la vita e la morte»

Lettera al padre, di Franz Kafka, Mondadori 2019

Un peccato originale, una colpa da espiare. Così sembrano essere alcuni legami di nascita: delle catene piombate, indissolubili. E l’anima è soggiogata, sottomessa a una sorta di volontà superiore. Quanto coraggio ci vuole per uscire dalla caverna e guardare in faccia il sole? Forse meno di quello che ci aspetteremmo, ma bisogna crederci.

RINGRAZIAMENTI

«Olive dovette davvero imporsi di non dire, Ai miei tempi c’era l’abitudine di ringraziare qualcuno se ti mandava un regalo. No, Olive dovette fare proprio uno sforzo per non lasciarselo scappare, ma non lo disse, e, dopo qualche minuto, Ann disse ai bambini: – Avanti, su, andiamo a letto. Date un bacio a papà -. E i bambini si avvicinarono a Christopher e lo baciarono, poi passarono davanti a Olive senza nemmeno guardarla. Orrendi, due bambini orrendi, e orrenda pure la loro madre. Ma il piccolo Henry a un tratto scese divincolandosi dalle ginocchia del padre […] – Ciao, ciao – disse lui. E le pose la sciarpa dicendo – Grazie – . Be’ questo sì che era un Kitteridge. Un Kitteridge fatto e finito.»

Olive, ancora lei, di Elizabeth Strout, Einaudi 2020

C’è un trauma naturale insito nell’accorgersi del tempo che passa, che porta a non accettare il cambiamento, a cercare in chi viene dopo di noi quello che più ci somiglia, come una forma di nostalgia o di una speranza di riscatto per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Ma un sorriso inconsapevole può alleviare una vecchiaia indispettita, tutti i nonni – veri o adottati – lo sanno. 

In sottofondo, kisses, Slowdive

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Cinque declinazioni di notte e altrettanti consigli di lettura

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FANTASIA

«Nelle pause della conversazione, il fiume, giocherellando intorno alla barca, mormora strane fiabe e segreti, intonando sottovoce la vecchia canzone dell’infanzia, cantata per millenni e che ancora per millenni canterà prima che la sua voce diventi rauca e vecchia. E noi che abbiamo appreso ad amare il suo mutevole volto e che così spesso ci siamo annidati nel suo petto generoso, crediamo in qualche modo di capire, anche se, con le semplici parole non saremmo in grado di ripetervi la storia che ascoltiamo.»

Tre uomini in barca di J.K. Jerome, 1889 (Traduzione di Nicoletta Della Casa Porta, Demetra, 1999)

Ascoltare la Natura nella notte è forse il più antico innesco della fantasia. D’altra parte, i racconti della sera sono preludio al sogno e al ricordo, ed è proprio lì nello spazio tra onirico e reale – così spaventoso e al contempo confortevole – che ritorna la mente nei suoi momenti di buio. 

RESPIRO

«La luna si levò tardi e risplendeva sopra i rami. Nei nidi dormivano le cincie, rannicchiate come lui. Nella notte, all’aperto, il silenzio del parco attraversavano cento fruscii e rumori lontani, e trascorreva il vento. A tratti giungeva un remoto mugghio: il mare. Io dalla finestra tendevo l’orecchio a questo frastagliato respiro e cercavo di immaginarlo udito senza l’alveo familiare della casa alle spalle, da chi si trovava a pochi metri più in là soltanto, ma tutto affidato ad esso con solo la notte intorno a sé; unico oggetto amico a cui tenersi abbracciato un tronco d’albero dalla scorza ruvida, percorso da minute gallerie senza fine in cui dormivano le larve»

Il barone rampante, di Italo Calvino, 1957 (Mondadori, 1993)

Sarà capitato un po’ a tutti di tendere l’orecchio nella notte, a cogliere il respiro dei nostri affetti,  nella paura – che solo le ore più remote sanno suscitare e spesso immotivata – di perdere il battito di chi si ama. E quando poi quegli stessi affetti smettono di starci accanto perché vado a vivere da solo o forse è meglio prenderci una pausa o ancora io mi avvio ci vediamo dall’altra parte, l’abitudine non si perde e l’orecchio si tende ancora, al silenzio.

SPAVENTO

«Entrai nel barile con tutto il corpo, e trovai che mele non ve n’erano quasi più; ma stando lì dentro al buio, cullato dal rullio della barca e dal mormorio dell’acqua mi sarei presto addormentato se qualcuno dalla pesante corporatura non fosse venuto a sedersi rumorosamente contro. Il barile ebbe una scossa quand’egli vi urtò con le spalle, e io stavo per saltar fuori, allorché costui cominciò a parlare.»

L’isola del tesoro, di Robert L. Stevenson, 1883 (Traduzione di Angiolo Silvio Novaro, Mondadori, 1991)

Succede a volte di trovarsi al momento giusto nel posto sbagliato, in incognito come Jim nel barile, e di venire a conoscenza di informazioni sensibili da cui dipendono i destini altrui. Il tormento assale, nel dubbio di non saper bene cosa fare.Portare la verità alla luce diventa, quindi, un atto di coraggio o un non trascurabile invito alla responsabilità.

INCHIOSTRO

«Quando ritornò in sé da quello sbigottimento, non sapeva raccapezzarsi, nemmeno lui, in che mondo si fosse. Intorno a sé c’era da ogni parte un gran buio: ma un buio così nero e profondo, che gli pareva di essere entrato col capo in un calamaio pieno d’inchiostro. Stette in ascolto e non sentì nessun rumore: solamente di tanto in tanto sentiva battersi nel viso alcune grandi buffate di vento. Da principio non sapeva intendere da dove quel vento uscisse: ma poi capì che usciva dai polmoni del mostro. Perché bisogna sapere che il Pescecane soffriva moltissimo d’asma, e quando respirava, pareva proprio che tirasse la tramontana.»

Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, di Carlo Collodi, 1883 ( Feltrinelli, 2020)

Il tempo della rilettura è anche il tempo della riscoperta, della meraviglia che si rinnova tra le generazioni, attraversa i secoli e le geografie. L’affabulazione della parola scritta ricorre ciclicamente e, spesso, la seconda lettura incanta più della prima. 

CROLLO

«Un sordo rumore, echeggiante come un grido che di rupe in rupe frana nell’abisso, s’avvicinò alla nave e dileguò. L’ultima stella, fosca, dilatata come ritornasse nella nebbia incandescente delle origini, lottò con l’enorme notte di tenebre che incombeva sulla nave – e si spense.» 

Typhoon, di Joseph Conrad, 1902 ( Traduzione di Ugo Mursia, Einaudi, 1993)

Le tenebre coincidono spesso con un senso di fine, quasi come se l’assenza di luce sia anche assenza di speranza. Ma se paragonata al nulla, la notte contiene ancora in sé la promessa di un’alba, anche quando tutto intorno sembra disfarsi.

In sottofondo Lazuli, Beach House

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Cinque declinazioni di radici e altrettanti consigli di lettura

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LINGUA

Chiudo il libro e lo riapro alla prima pagina. Leggo: «l’alfabeto italiano è composto da ventuno lettere, di cui cinque vocali e sedici consonanti. A queste si aggiungono le lettere di origine straniera: j, k, w, x, y. […]». Lancio il libro. Lo lancio con tutte le mie forze. Mi sembra giusto lanciare un libro che mi tradisce e uccide le lettere. Merita di morire

Male a est di Andreea Simionel (Italo Svevo, 2022)

“Non si cresce in un luogo, si cresce in una lingua” si legge in Come un respiro interrotto (Fabio Stassi, Sellerio, 2014). Potrebbe dunque essere una particolare forma di violenza, l’essere costretti ad abitare una lingua diversa da quella in cui si è cresciuti. Un male tanto silenzioso quanto logorante.

PIETRE

Sfatti, si distesero lunghi, i gomiti a puntello sopra l’erba. E fu come se ognuno ritornasse solo, solo coi suoi pensieri, i suoi affanni. Lo sguardo perso per quella nuda piana, a cui succedevano colline, appena verdeggianti per gli spruzzi di pioggia dell’ottobre in corso, o bianche e aspre, fortezze alte e puntute di calcare. […] E niuno di essi, niuno, spersi tutti, affogati in quello spazio di dimenticanza, sotto quel cielo fermo, niuno s’era accorto che da sopra il muro bianco della masseria, sopra i vetri di bottiglia, da dietro le finestre inferriate, sotto gli archi della loggia in alto, erano sbucati baschi neri e colorati sopra facce impassibili, occhi che scrutavano, nasi e bocche che fumavano.

Le pietre di pantalica, di Vincenzo Consolo (Mondadori, 1988)

È in quella terra acre di Sicilia, fatta del sangue degli ultimi, che affondano le radici della poesia e del sogno del riscatto, ancora soffocati dalla grettezza della Storia.

DISTACCO

È come se tutto facesse parte della vita del paese. La nascita, la morte, la separazione divengono semplicemente tappe di un divenire collettivo in cui c’è sempre posto per la speranza, perché la comunità sopravvive e si evolve. […] Lui capisce ma non prova né angoscia, né felicità. Tutto fa parte di una vita che non è la sua e nella quale lui non si inserirà mai. […] è tutto appena un poco distante da lui. Tutto come assistere alla vita di un paese separato.

Camere separate, di Pier vittorio Tondelli (Bompiani, 1989)

C’è spesso uno spaesamento nel modo in cui guardiamo al luogo in cui siamo nati. Si tratta di una forma di distanza: è la sensazione di sentirsi profondamente diversi rispetto a un mondo e a delle persone che sanno tutto di noi, ma che fanno fatica ad accoglierci.

RITORNO

Per nove anni, ogni lunedì ero andato al consolato cileno per sapere se potevo tornare. Nove anni nel orso dei quali avevo ricevuto circa cinquecento volte la stessa risposta: No. Il suo nome è sulla lista di quelli che non possono tornare. E all’improvviso, un lunedì di gennaio, il triste funzionario spezzò la sua routine e, al contempo, i miei schemi: Quando vuole. Può tornare quando vuole. Il suo nome è stato cancellato dalla lista. Uscii dal consolato tremando.

Patagonia express, di Luis Sepulveda (Guanda, 1999)

In alcune parti del mondo la Storia e l’oblio si succedono con troppa rapidità. Il viaggio diventa allora un’avventura triste, sia quando è fuga, sia quando è ritorno.

IPNOSI

«Mio nonno poi […] faceva a sua volta l’ipnotizzatore e lavorava nei piccoli circhi, e tutta la città vedeva nelle sue ipnotizzazioni il desiderio di fare più che poteva la vita dello scioperato. Quando però i tedeschi in marzo passarono le nostre frontiere per occupare l’intero paese […] soltanto il nonno andò a opporsi ai tedeschi come ipnotizzatore, ad arrestare i carri armati con la forza del pensiero […] Da allora in tutta la regione la gente litigava. Gli uni gridavano che il nonno era matto, gli altri invece che non poi tanto, che se tutti si fossero opposti come il nonno ai tedeschi con le armi in pugno chissà come sarebbe finita coi tedeschi.»

Treni strettamente sorvegliati, di Bohumil Hrabal (e/o, 1985)

Quando si affronta un trauma collettivo, come l’invasione della propria terra da parte di un colonizzatore agguerrito, tornano domande ricorrenti: come è potuto accadere, chi lo ha permesso. Salvifica è allora la letteratura, che scavando nel dramma – talvolta con ironia e disincanto – crea consapevolezza e alimenta la memoria.

In sottofondo, Should have known better, Sufjan Stevens

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FUMO

Fumisteria, di Fabio Stassi (Sellerio, 2015)

«Anche questa mattina che preannuncia l’estate, Donna Mariannina continua a fumare, e lo fa con rinfrancata caparbietà, sente ritornarsi le forze, e sa che fumerà finché non le tremeranno le mani. La stanza s’imporpora di nuovo, e dai vetri della finestrella già non si vede più nulla. Tutto è fumo ormai intorno a lei, che canta. […] Fumo la storia, la memoria, i libri e gli avvocati che verranno dopo l’avvocato Licata e gli uomini che seguiteranno le battaglie di Rocco. E soltanto qualche naso più fine degli altri, a volte, in particolari circostanze, potrà appena percepire un certo lontano odore di bruciato.»

In certi posti del retroterra si sente spesso, d’ estate, un odore di pneumatico bruciato. Lo si avverte generalmente di primo mattino o intorno al crepuscolo, è un tanfo acido, fastidioso. Quando l’aria è ferma, può durare per diverse ore, impregna i muri delle case, e resta per tutto il giorno nello spazio della percezione, latente, come un principio di nausea. A volte lo si vede: è un fumo nerastro che appanna l’aria, s’infiltra nella freschezza della rugiada, contamina i profumi della terra.

Da dove arrivi quell’odore è sempre un mistero, forse da non molto lontano, da qualche campo semi-abbandonato in cui si smaltiscono materiali di risulta. Sono solo foglie secche, direbbero gli incendiari se colti in fallo, scellerati.

Verso fine estate, con una regolarità fuori dall’ordinario e sempre all’alba o al tramonto, quel fumo cambia colore e consistenza. Diventa bianco e perde acidità, a volte sa di resina e di sambuco.

Chissà chi ha esagerato col profumatore a bastoncini – pensa qualcuno – e già si sentono gli scricchiolii del legno che cede sotto le fiamme che si vedono in lontananza. Sono in alto, sulla cima delle colline, dietro le case. Il fuoco procede in moto accelerato: prima una lingua isolata, poi due, cinque, dieci vampate poco lontane tra loro, che prorompono in un incendio che ricorderemo per anni.

Il rituale consolidato: le telefonate si accavallano ai vigili del fuoco, alla forestale, alla polizia, ai carabinieri, alla finanza, alla guardia costiera, tutte con lo stesso esito, Aspetti, dobbiamo verificare la credibilità della sua denuncia, l’affidabilità della sua persona, l’attendibilità dei suoi occhi. Carta d’identità e codice fiscale. Da quanto tempo non va a visita dall’oculista? E dall’otorinolaringoiatra? È sicura, dico è sicura, di quello che sta dicendo? Lo sa che denunciare il falso è un reato penale? È mio dovere farle queste domande, sto solo facendo il mio lavoro, allora lei dichiara che in data tot alle ore tot una colonna di fumo si alzava a circa duecento metri in linea d’aria dalla sua abitazione in via xy, dando evidenza di un principio di incendio, bene chiameremo se abbiamo bisogno d’altro, mandiamo una squadra in sopralluogo Quando? Eh, è agosto, lei lo sa il personale è ridotto, arriviamo il prima possibile.

Quel prima diventa sempre troppo tardi, quando nulla resta da fare se non sperare che calmi lo scirocco e no, non pioverà, dice un vecchio a un giovane, entrambi parte del grande gruppo di persone che sorveglia le case ai piedi della montagna. Tutto brucia fino a che pure la terra diventa cenere e non rimane che la roccia viva a fare da scudo ignifugo.

Un tempo era tutto bosco, c’erano le querce e gli ulivi e la macchia, dicono. Ogni estate è così, in questa specie di campagna edificata, circondata da colline che non rinverdiranno mai. Qualche volta si identificano pure i piromani, ma l’evento nemmeno fa notizia, a meno che non si tratti di un ragazzo di quindici anni, sorpreso dalle telecamere di sorveglianza a lanciare gli inneschi nella radura. È stata una bravata, dicono, e allora pure la verità diventa fumo.

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Cinque declinazioni di luce e altrettanti consigli di lettura

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GENESI

Palermo. Un’autobiografia nella luce, di Giorgio Vasta (Humboldt books, 2022)

«E così avevo trascorso giorni immaginando la luce da piccola – anzi, prima ancora della luce neonata avevo cercato di immaginare la luce anteriore alla nascita della vita: la luce prima di tutto: ancora a se stessa estranea, ignota e ignara, espansiva e insieme introversa, ispida e scontrosa eppure tenerissima: una luce che esisteva ancora al di qua del tempo, della genesi e di ogni genealogia, della prospettiva e delle proporzioni: una luce a grandezza naturale –»

Ci sono dei momenti in cui la vita adulta si offusca nel rimpianto di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. La scrittura autobiografica può essere un modo per ripensare l’invecchiamento, immaginandolo come un lungo viaggio verso l’origine del tutto.

ESTATE

Luce d’estate ed è subito notte, di Jón Kalman Stefánsson (Iperborea, 2013)

« […] per quale motivo ho vissuto? Che questi racconti di vita e di morte nel nostro paese e nelle campagne intorno siano una sorta di risposta a quella domanda, e al senso d’incertezza che ne deriva? Parliamo, scriviamo, raccontiamo di piccole e grandi cose per cercare di capire, di arrivare a qualcosa, di afferrare l’essenza che però si allontana sempre più come l’arcobaleno. […] E ovviamente è la ricerca che ci insegna le parole per descrivere lo splendore delle stelle, il silenzio dei pesci, il sorriso e lo sconforto, la fine del mondo e la luce dell’estate.»

Talvolta, la luce costante delle estati nordiche sembra appartenere a una dimensione altra. Ad alcuni potrebbe ricordare l’atmosfera che si respira tra la vita e la morte. A quelli cioè che questo spazio lo hanno attraversato, anche solo mediante gli occhi degli altri.

ACCECAMENTO

Ritornare a Sud, in Racconti, di Daniele Del Giudice (Einaudi, 2016)

«Anche il vento è cessato: forse abbiamo raggiunto l’area senza vento che circonda il Polo, perché la barriera appare come una superficie bianca, silenziosa e impressionante. Nessuno è mai arrivato così a Sud e tutto ciò che vediamo viene visto per la prima volta. Questo, benché la natura ci sia ostile, accresce il sentimento di una violazione. Ci sembra di essere entrati in un altro mondo, sebbene le nostre preoccupazioni, al momento siano molto volgari: le screpolature sul viso e l’acuta mancanza di cibo.»

Desiderio e meraviglia sono sensazioni proprie di chi arriva per primo in un territorio inesplorato. Lo stupore per l’ignoto si fa accecante, come il bagliore della luce ai confini del mondo.

COSCIENZA

Klara e il sole, di Kazuo Ishiguro (Einaudi, 2021)

«A differenza di gran parte degli AA […] avevo sempre desiderato di vedere di più del fuori, e vederlo come si deve. Di conseguenza, quando la grata si alzò, la consapevolezza che adesso tra me e il marciapiede restava soltanto un vetro, che ero libera di vedere, da vicino e per intero, tante cose che avevo visto soltanto come spigoli e scorci, mi emozionò al punto che per un attimo quasi mi scordai del Sole e della sua gentilezza verso di noi.»

Potrebbe essere un pensiero fantascientifico – ma nemmeno più di tanto – immaginare che se e quando l’intelligenza artificiale sarà capace di sviluppare una coscienza tutta sua, allora rivelerà una purezza d’animo antica, come quella di un bambino che ha appena scoperto di esistere.

CREPITIO

L’isola di Arturo, di Elsa Morante (Einaudi, 2014)

«Adesso il firmamento, a guardarlo, mi diventava un grande oceano, sparso di innumerevoli isole, e, fra le stelle, ricercavo aguzzando lo sguardo quelle di cui conoscevo i nomi […]. Era umiliante vedere il cielo e pensare: là ci sono tanti altri paesaggi, altre iridi di colori, forse tanti altri mari di chi sa quali colori, altre foreste più grandi che ai Tropici, altre forme di animali ferocissime e allegre, […] e io non posso arrivare là.»

Sognare avventure per mari sconfinati è il sintomo più bello della gioventù affamata. È una magia che accade, allora, quando ci si ritrova da adulti a sperare di nuovo guardando un cielo stellato.

In sottofondo, Fade into you, Mazzy Star

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Cinque declinazioni di paesaggio e altrettanti consigli di lettura

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PRESENZA

Luoghi e Paesaggi, di Andrea Zanzotto (Bompiani, 2016)

[…] il paesaggio è abitato non da uno soltanto, ma da innumerevoli cervelli ambulanti, da mille specchi diversi ma contigui che lo creano e che, a loro volta, da esso sono creati di continuo: il paesaggio diviene pertanto qualcosa di “biologale”, una certa qual trascendente unità cui puntano miriadi di raggi, di tentativi di auto-definizione, di notificazioni di presenza.

Quando visibile e invisibile si compenetrano in uno sguardo condiviso, la visione del singolo si carica delle tracce della memoria altrui. Il paesaggio si fa così esperienza, diventando elemento di identità.

PUNTO CIECO

Conversazione in Sicilia, di Elio Vittorini (Bompiani, 2021)

Ceneri fredde avvolgevano, nel ghiaccio dei monti, la Sicilia, e il sole non si era levato, non si sarebbe più levato. Era notte senza la calma della notte, senza sonno; per l’aria volavano corvi; dai tetti, dagli orti partiva ogni tanto uno sparo.

I luoghi sprigionano una forza propria, a cui nessuno può sottrarsi davvero, nemmeno quando vengono abbandonati. Vivacità o indifferenza, persino violenza: la tensione tra l’origine e la destinazione si rapprende, talora, in un buio fatto di sola percezione. Un’oscurità eloquente: è il paesaggio della fuga.

ACQUE

Alla baia, in Tutti i racconti, di Katherine Mansfield (Adelphi, 2011)

Ah-aah! faceva il mare assonnato. E dai cespugli veniva il rumore dei ruscelletti che scorrevano rapidi e leggeri, scivolando tra le pietre lisce, inondando le conche di felci e uscendone di nuovo; si sentivano i goccioloni che si spiaccicavano sulle foglie larghe, e qualcos’altro – che cos’era? – un lieve agitarsi e scuotere, lo schiocco di un ramoscello che si spezza e poi un silenzio tale da credere che qualcuno ascoltasse.

Capita poi di ritrovarsi a camminare nel primo mattino d’estate su una spiaggia deserta, cercando una voce perduta, in un silenzio rotto solo dal battere delle onde, regolare. E quando l’ascolto si fa assoluto lo spazio tra il corpo e il paesaggio pare assottigliarsi fino a diventare infinitamente piccolo. Ma no, non si annulla mai del tutto.

VEGGENZA

Il Consiglio d’Egitto, di Leonardo Sciascia (Adelphi, 1989)

Poi, nella sera, le chitarre si accendevano come grilli, mentre dal porto giungeva il canto dei marinai siciliani, greci, catalani, genovesi: essenza della lontananza, della nostalgia. Di quei marinai che nei loro racconti di ubriachi aprivano il mondo come un ventaglio: e gli avevano rivelato la vasta e varia avventura che i luoghi offrono all’uomo anche il più miserabile, e che nello svariare dei luoghi è per il miserabile l’unica possibilità di cogliere le gioie della vita.

Navigare lo spazio delle possibilità, abitare un tempo passato, disegnare scenari utopici, migrare in dimensioni fantastiche: mai sottovalutare il potere evocativo dei paesaggi che prendono vita nella mente sotto l’effetto dell’affabulazione. Fosse solo per dire, quando ci si riaffaccia alla realtà: “Qui sono già stato, una volta”.  

SPAESAMENTO

Bisogno di guida, in Tutte le poesie, di Giorgio Caproni (Garzanti, 2021)

     M’ero perso. Annaspavo.
Cercavo uno sfogo.
Chiesi a uno. «Non sono,»
mi rispose, «del luogo.»

Perdere i riferimenti e deambulare alla deriva in uno stato di ipnosi diventano modi per entrare in contatto con la parte inconscia degli spazi attraversati, o forse, di noi stessi.

In sottofondo, In the dark places, di PJ Harvey.

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Cinque declinazioni del discorso amoroso e altrettanti consigli di lettura

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CORPO

La tana in Via da qui, di Alessandra Sarchi (minimum fax, 2022)

[…] Monica chiuse gli occhi, premette forte con i polpastrelli sulle palpebre e nel buio vide il cuore di Evelyn avvolto nel ghiaccio, lo vide con le vene rosse, blu e viola. Trasportato in una cassetta termica, e poi trapiantato in chissà quale altro corpo, sarebbe stato pronto a reggere il dolore e l’emozione e l’innamoramento e tutti quei sentimenti che il cuore crediamo contenga, mentre svolge il suo ripetitivo mestiere tumtum-tumtum

Guardare impotenti il corpo di chi si ama disfarsi con un’accelerazione da piano inclinato. Perdere con esso una parte di sé, una sola domanda che erode la coscienza: perché?

DESIDERIO

Eros in agonia, di Byung – Chul Han (nottetempo, 2013)

Spesso, in tempi recenti, è stata annunciata la fine dell’amore. Oggi, l’amore sarebbe vittima dell’illimitata libertà di scelta, della molteplicità delle opzioni e dell’impulso all’ottimizzazione

In una società malata di narcisismo, annullarsi nell’altro appare una debolezza imperdonabile. Il desiderio implode, finendo per addensarsi ed esaurirsi nel fremito di un appuntamento casuale.

ATTESA

Lettere d’amore, di Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti (Quodlibet, 2019)

Non ti amo, ho soltanto la visione continua della tua persona, dei tuoi capelli, dei tuoi occhi, della tua bocca

Ogni amore si nutre di attesa, ma a volte l’attesa dura per sempre. Un carteggio appassionato può sublimare la tensione poetica di un sentimento irrisolto, oltre che rendere più sopportabile l’afflizione che ne deriva.

DANZA

La bellezza del marito. Un saggio romanzato in 29 tanghi, di Anne Carson (La tartaruga, 2022)

eri solito dire.“Il raddoppiamento del desiderio è l’amore e il 
     raddoppiamento dell’amore è la follia”.
Il raddoppiamento della follia è il matrimonio
aggiunsi io

La vita in due è una simbiosi di anime, una coreografia dai movimenti rallentati eseguita al ritmo binario. Forse è per questo che, a volte, il dolore della separazione genera demoni, e la pazzia riempie il vuoto dell’abbandono.

RIVELAZIONE

Qualcuno che ti ami in tutta la tua gloria devastata, di Raphael Bob-Waksberg (Einaudi, 2021)

E penso che amare qualcuno sia un po’ come essere il presidente, nel senso che non ti cambia, cioè non del tutto. Più che altro ti tira fuori più te stesso del te stesso che già sei

La comicità potrebbe essere il miglior antidoto alle catastrofi sentimentali: illumina la verità delle relazioni umane e nutre le ripartenze. È un’esperienza inaspettata, quella di ritrovarsi e ricostruirsi, pezzo a pezzo, nella leggerezza di una risata.

In sottofondo, Estate di B. Martino nella versione di Giorgio Poi.

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