Cinque declinazioni di notte e altrettanti consigli di lettura

Foto di Tania Malréchauffé su Unsplash

FANTASIA

«Nelle pause della conversazione, il fiume, giocherellando intorno alla barca, mormora strane fiabe e segreti, intonando sottovoce la vecchia canzone dell’infanzia, cantata per millenni e che ancora per millenni canterà prima che la sua voce diventi rauca e vecchia. E noi che abbiamo appreso ad amare il suo mutevole volto e che così spesso ci siamo annidati nel suo petto generoso, crediamo in qualche modo di capire, anche se, con le semplici parole non saremmo in grado di ripetervi la storia che ascoltiamo.»

Tre uomini in barca di J.K. Jerome, 1889 (Traduzione di Nicoletta Della Casa Porta, Demetra, 1999)

Ascoltare la Natura nella notte è forse il più antico innesco della fantasia. D’altra parte, i racconti della sera sono preludio al sogno e al ricordo, ed è proprio lì nello spazio tra onirico e reale – così spaventoso e al contempo confortevole – che ritorna la mente nei suoi momenti di buio. 

RESPIRO

«La luna si levò tardi e risplendeva sopra i rami. Nei nidi dormivano le cincie, rannicchiate come lui. Nella notte, all’aperto, il silenzio del parco attraversavano cento fruscii e rumori lontani, e trascorreva il vento. A tratti giungeva un remoto mugghio: il mare. Io dalla finestra tendevo l’orecchio a questo frastagliato respiro e cercavo di immaginarlo udito senza l’alveo familiare della casa alle spalle, da chi si trovava a pochi metri più in là soltanto, ma tutto affidato ad esso con solo la notte intorno a sé; unico oggetto amico a cui tenersi abbracciato un tronco d’albero dalla scorza ruvida, percorso da minute gallerie senza fine in cui dormivano le larve»

Il barone rampante, di Italo Calvino, 1957 (Mondadori, 1993)

Sarà capitato un po’ a tutti di tendere l’orecchio nella notte, a cogliere il respiro dei nostri affetti,  nella paura – che solo le ore più remote sanno suscitare e spesso immotivata – di perdere il battito di chi si ama. E quando poi quegli stessi affetti smettono di starci accanto perché vado a vivere da solo o forse è meglio prenderci una pausa o ancora io mi avvio ci vediamo dall’altra parte, l’abitudine non si perde e l’orecchio si tende ancora, al silenzio.

SPAVENTO

«Entrai nel barile con tutto il corpo, e trovai che mele non ve n’erano quasi più; ma stando lì dentro al buio, cullato dal rullio della barca e dal mormorio dell’acqua mi sarei presto addormentato se qualcuno dalla pesante corporatura non fosse venuto a sedersi rumorosamente contro. Il barile ebbe una scossa quand’egli vi urtò con le spalle, e io stavo per saltar fuori, allorché costui cominciò a parlare.»

L’isola del tesoro, di Robert L. Stevenson, 1883 (Traduzione di Angiolo Silvio Novaro, Mondadori, 1991)

Succede a volte di trovarsi al momento giusto nel posto sbagliato, in incognito come Jim nel barile, e di venire a conoscenza di informazioni sensibili da cui dipendono i destini altrui. Il tormento assale, nel dubbio di non saper bene cosa fare.Portare la verità alla luce diventa, quindi, un atto di coraggio o un non trascurabile invito alla responsabilità.

INCHIOSTRO

«Quando ritornò in sé da quello sbigottimento, non sapeva raccapezzarsi, nemmeno lui, in che mondo si fosse. Intorno a sé c’era da ogni parte un gran buio: ma un buio così nero e profondo, che gli pareva di essere entrato col capo in un calamaio pieno d’inchiostro. Stette in ascolto e non sentì nessun rumore: solamente di tanto in tanto sentiva battersi nel viso alcune grandi buffate di vento. Da principio non sapeva intendere da dove quel vento uscisse: ma poi capì che usciva dai polmoni del mostro. Perché bisogna sapere che il Pescecane soffriva moltissimo d’asma, e quando respirava, pareva proprio che tirasse la tramontana.»

Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, di Carlo Collodi, 1883 ( Feltrinelli, 2020)

Il tempo della rilettura è anche il tempo della riscoperta, della meraviglia che si rinnova tra le generazioni, attraversa i secoli e le geografie. L’affabulazione della parola scritta ricorre ciclicamente e, spesso, la seconda lettura incanta più della prima. 

CROLLO

«Un sordo rumore, echeggiante come un grido che di rupe in rupe frana nell’abisso, s’avvicinò alla nave e dileguò. L’ultima stella, fosca, dilatata come ritornasse nella nebbia incandescente delle origini, lottò con l’enorme notte di tenebre che incombeva sulla nave – e si spense.» 

Typhoon, di Joseph Conrad, 1902 ( Traduzione di Ugo Mursia, Einaudi, 1993)

Le tenebre coincidono spesso con un senso di fine, quasi come se l’assenza di luce sia anche assenza di speranza. Ma se paragonata al nulla, la notte contiene ancora in sé la promessa di un’alba, anche quando tutto intorno sembra disfarsi.

In sottofondo Lazuli, Beach House

Autore

Carmela Fabbricatore
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Carmela Fabbricatore si occupa di letteratura e progettazione culturale. Ha frequentato il percorso di editoria di minimumlab e collabora come lettrice con il Premio Calvino. Scribacchia delle sue letture su @quilldriver.ink.