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Introdurre questo numero non è stato semplice: riflettere sulla luce mi ha posto molti interrogativi e mi ha aggrovigliato i pensieri. Ho fatto molte letture e alcune mi hanno segnato.

“V13” di Carrère innanzitutto. Il testo è la descrizione del processo degli attentati del Venerdì 13 Novembre 2015. L’autore lo ha seguito quotidianamente in tribunale e riporta anche le testimonianze delle vittime.
Ad un certo punto una giovane donna (Clarisse) presenta la sua testimonianza: “Quelqu’un a allumé les projecteurs de la salle, tout se passe maintenant dans une lumière blanche, aveuglante, pire que le noir.”
L’idea di questa luce accecante che mostra e fa parte del massacro del Bataclan continua a essere presente nei miei pensieri e nella mia coscienza.
Io che pensavo alla luce come elemento di speranza, santità e risoluzione dei problemi, mi sono trovata spiazzata dal dolore .
Nei giorni seguenti la lettura, la luce per me restava legata al buio e alla paura. Non come protettrice ma come rivelatrice: essere nudi di fronte all’evidenza del dolore.

Ho trovato il ruolo della luce come fondamentale anche nella “Vita di chi resta” di Matteo B.Bianchi: la ricerca dell’interruttore come scoperta della tragedia. Una tragedia espressa in una sintassi corta e piena di spazi. Rappresentativa del dolore più pieno.

E la stessa scrittura dolorosa era presente in “Le cose che non si raccontano” di Antonella Lattanzi. La scrittrice racconta la sua esperienza con la fecondazione assistita e l’aborto, senza tralasciare nessun dettaglio di questo percorso.
Quando descrive delle sue ecografie io immagino, vedo, quelle linee chiare, lucenti immerse nel nero. Dove speri sentire un battito e dove poi niente più. E sangue e non voler guardare, voler che tutto ciò sia oscurato, quando invece è mostrato.

Nessuna rassicurazione. Nessuno sconto.

Sentivo sfuggire il mistero della chiarezza: questa idea di luce avrei voluto rifarla mia, riportarla a un momento in cui la sua connotazione semantica legata al dolore o alla gioia non dipendeva né da me né dalle esperienze altrui.

Come dice Ada D’Adamo in “Come d’aria” (suo romanzo di esordio e candidato al Premio Strega 2023): “Nel dialetto del paese dove sono nata c’è un modo che le madri usano per spiegare la nostalgia che le assale di fronte alla crescita dei figli, il desiderio non avverabile di riaverli piccoli. Me l’armittéss dentr ’a la panz.

Volevo riappropriarmene.

Ho cercato nella scienza, nella fisica, un conforto che veniva da parole, scoperte e numeri più forti di me. Può sembrare strano ma il sentimento che provavo era stato ben descritto da Carlo Rovelli nel suo libro “Buchi Bianchi”:
Ma nulla è eterno. Alla fine l’idrogeno si consuma, si trasforma tutto in elio e in altre ceneri che non bruciano più: la stella resta come un’auto senza benzina. La temperatura scende, il peso comincia a prevalere. La stella si schiaccia sotto l’effetto della gravità. La forza di gravità in una grande stella è immane, neanche la roccia più dura resiste alla sua pressione. Non c’è più nulla che riesca a impedire alla stella di sprofondare su se stessa. Così la stella sprofonda fin dentro il suo orizzonte. Si è formato un buco nero.”
Avevo la sensazione che mentre stavo leggendo una spiegazione sul funzionamento del cosmo, in realtà sentivo parlare di me stessa, della mia quotidianità. Le stelle che noi ammiriamo, la cui luce ci arriva e ci dice quanto queste distano da noi, possono diventare buchi neri.
Io non volevo però rimanere ferma al buco nero, al dolore. Cosa c’era dopo? Si può uscire da lì? Secondo Rovelli e le sue ricerche sì.
Comunque si sia formato, la materia sprofonda e raggiunge rapidamente il centro. Qui la struttura quantistica dello spazio e del tempo le impedisce di schiacciarsi ulteriormente. È diventata una stella di Planck, che rimbalza e inizia a esplodere. Attorno ad essa, dentro il buco nero, anche lo spazio compie il salto quantico e la sua geometria si riarrangia, come Gandalf, da nero a bianco. […]
Nel buco bianco, tutto ciò che cadeva vola poi verso l’alto. Alla fine, tutto ciò che è entrato esce interamente dall’orizzonte bianco, e torna a rivedere il sole e l’altre stelle.”

Se anche le stelle, potenti e immense, attraversano un buco nero per uscire dall’orizzonte, allora chi sono io per fermarmi al buco nero? Allora niente, si va avanti.

A questo numero parteciperanno:
Redazione: Pamela Frani, Elisabetta Carbone, Emanuele Mapelli
Poesie: Elena Petrassi, Elisabetta Carbone
Racconto: Tommaso De Martino
Articolo: Barbara Bernardini
Appunti: Carmela Fabbricatore

Il tema del prossimo numero sarà “L’odore” e uscirà a fine agosto.

A presto

Autore

Pamela Frani
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Pamela Frani ha partecipato a vari corsi di scrittura e editing tra cui quelli di minimumlab,di Bottega di narrazione e i workshop di Interno Poesia. È l'ideatrice di fuoripunto.