foto di Nicole Queiroz on Unsplash
Nuvola

tuffarci la faccia

entrarci come un pesce

o un atleta in volo

in un flusso di gravità

un progresso di

perdita e attesa

di tornare all’aria

alle capriole di vento

di cui siamo fatti.
Andare

da un lato all’altro

di questa grande casa

lungo i corridoi di voci

delle donne che qui

hanno pianto e figliato.

Non tirare il pavimento a cera

che dopo è una schiavitù

come la tinta bionda.

Allargare lo sguardo

agli angoli

e nella prospettiva.

Riempivo

il vaso di fiori,

tanti, e lì li stipavo,

all’ingresso:

sembravano una testa

e i suoi capelli.

Poi

il vaso s’è rotto:

schegge d’acqua

e di creta si son sparse

in fuga fra le piastrelle.

La testa e i suoi capelli

sul pavimento dell’ingresso.
Stipite

della porta

la sua verticalità

custodisce tra le fibre

un progetto di appoggio:

vibra tra le piste

lucide di copale

mi ci schiaccio così bene

quando fremo di freddo

fuori, dove mi hai chiuso

ad aspettare

te.

Autore

Elisabetta Carbone
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Elisabetta Carbone è nata, vive e lavora a Bologna come docente liceale di Italiano e Latino. Ama leggere e pensarci su. Ha frequentato il laboratorio annuale della Bottega di narrazione e altri corsi di scrittura. È stata finalista di Oltre il velo del reale e semifinalista a Visioni divergenti e corpi indisciplinati, organizzati dal Premio Italo Calvino. Ha partecipato a L'olmo e i suoi racconti, un progetto sul paesaggio guidato da Marino Magliani e Dario Voltolini, e pubblicato su riviste letterarie.