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Con Boris ho stretto un patto.
Abbiamo deciso di barattare le prestazioni professionali di uno con quelle dell’altro.
Siamo amici da una vita e ci è sembrato eccessivo stringerci la mano per siglare l’accordo di cui sono stato il primo beneficiario; il dente rotto mi faceva così male che la notte prendevo sonno con una pasticca di ossicodone e non volevo arrivare a due.
Per non intralciare la regolare attività d’ognuno s’era convenuto di lavorare a studi chiusi, e Boris lavora proprio bene, non c’è che dire. Ma anch’io lavoro bene e lo sa anche lui, tant’è che mi chiama affettuosamente O’mast, il maestro. E così, dopo le sedute nel suo studio dentistico, stasera è il suo turno.
Mentre sfoglia i cataloghi dei disegni, giro un cannone col Lemon che Saif mi ha portato l’altro ieri. È il suo primo tatuaggio. È giusto metterlo a proprio agio e dargli tempo per scegliere il soggetto. Dai discorsi che fa credo che sia in fissa per una ragazza che li adora.
– Sei sempre dell’idea di tatuarti la schiena? – Dico chiudendo la canna.
– Certo.
– Allora passa al catalogo nero, schiena e torace. Quello che stai sfogliando ha solo soggetti per braccia, gambe e collo.
– E quello rosso? – Fa lui.
– Chiappe e tette, – gli rispondo a mezza bocca col joint tra le labbra. – S’è scaricato, fammi accendere.
Mi passa il suo accendino e dà una sbirciata al catalogo rosso prima di aprire il nero.
– Che ne dici di questo? – Chiede dopo un po’, e mi mostra due ali d’angelo unite da una croce.
– Se vuoi portarti una croce fin nella tomba, cazzi tuoi, – faccio io.
– Naaa, – conviene lui.
– Tieni, magari ti aiuta, – dico passandogli la canna.
Boris aspira lungo.
– Bello questo. Che cos’è?
– Un mandala. Di solito lo scelgono le ragazze, ma se ti piace.
Lui continua a sfogliare il catalogo con le dita appiccicose di chi ha mangiato pollo.
– La passi o no!
– Questo. Ho deciso. Voglio questo, – dice lui, passando la canna e puntando l’indice sul soggetto a confermarne la scelta.
Butto l’occhio sul catalogo. Faccio un bel tiro da riempirmi i polmoni e trattengo il fiato.
– Questo no.
– Come no, è perfetto. Mi ci rivedo in questo drago senz’occhi.           
– Boris, no.
– Questa è bella: è da mezz’ora che sfoglio cataloghi e una volta che mi decido, tu dici no. Cazzo, ma perché? E non rispondermi ‘perché no’ come ai bambini.
– Perché quello è il drago di Yuko.
– E a me che me ne fotte!
– A me sì. Ho fatto una promessa. Ma non a lei.
– Quindi questa Yuko è una lei, ora capisco, – dice sornione. – Comunque ho deciso; se non sarà questo, voglio comunque un drago.
– I draghi non li tatuo più. Quello è stato l’ultimo.
– E perché lo tieni ancora in catalogo allora?
Ammazzo la canna nel posacenere e soffio il fumo sulla faccia di Boris.
– Sei un cagacazzo.
– Lo so, – ammette lui.
Lo conosco da troppo e so che il muro contro muro con lui non funziona.
– Davvero vuoi sapere perché è ancora in catalogo?
– Sì.
– Per il piacere di dire no ai rompiballe come te.
– Ah ah, simpatico. Non ti ricordavo così misterioso.
– L’unico mistero in questa storia è quello di Yuko, – dico io. – Che ho conosciuto a Firenze quando ero socio col Sardo. Una sera mi ha trascinato a forza in uno dei locali che frequentava lui, meta preferita della giovane borghesia fiorentina. Non sto a dirti che mi sentivo un pesce fuor d’acqua, ma il Sardo diceva che i clienti migliori li trovava così, passando le notti in posti come quello, e mentre lui non si risparmiava nelle pubbliche relazioni io affondavo in un divanetto con il secondo drink in mano. La musica faceva schifo, la gente pure, ma per fortuna il Negroni spaccava. E fu scolandomelo che, rivolgendomi alle gambe accavallate a fianco a me, dissi “Tutte queste persone sembrano tante supposte in attesa di entrare nel buco del culo di qualcuno”.
– Uh che poeta, – commenta sarcastico Boris.
– Tu scherzi ma “è una tua poesia?” fu ciò che disse la proprietaria delle gambe. Bah, forse potevo anche avercela l’aria del poeta, o forse non era insolito incontrarne in quel posto, non so, sta di fatto che schiodai gli occhi dalle mie scarpe per puntarli su di lei.
– E te la sei scopata.
– Uhm, non quella sera. Ci siamo rivisti giorni dopo per un aperitivo e abbiamo finito col cenare assieme. Ma non fu l’unica volta che Yuko passò la notte da me; il mio appartamento offriva più intimità della sua doppia in una casa per studenti.
– Vecchia roccia, te la sei scelta giovane.
– Ti ricordo che abbiamo la stessa età, stronzo. Comunque sì, aveva venticinque anni e io quarantasei.
– Quindi tre anni fa.
– Sì, ma il mistero di Yuko non è nei suoi anni.
Boris tace, e mi guarda come a dire continua.
– Non capivo perché non si toglieva mai la T-shirt quando scopavamo.
– Vuoi dire che non le hai mai toccato le tette?
– Toccato sì, da sopra la maglietta.
– Quindi non gliele hai mai viste! Io non ce la farei.
– Infatti dopo un po’ la cosa cominciava a pesarmi, perché all’inizio l’avevo presa con filosofia, non m’ero fatto problemi finché si è trattato soltanto di scopare.
– Oh oh, non mi dire che ti eri innamorato?
Cosa c’è di più eloquente del silenzio nel momento giusto? Solo l’imbarazzante silenzio al momento sbagliato.
Boris accende una sigaretta e passa pacchetto e accendino a me.
– Fanne un’altra va. La tiriamo per le lunghe se c’è di mezzo il cuore.
Aveva ragione, d’altronde mi conosceva e più d’una volta s’era sorbito le mie pene d’amore. Sono un romantico, anche se non lo do a vedere.
– Allora? Continua: come hai fatto con le tette? Le hai viste, spero.
Anche Boris è un romanticone ma non lo dà a vedere.
– Sì, ma non le ho strappato la maglia come pensi tu.
– L’hai sbirciata sotto la doccia?
– Coglione.
Boris risponde col suo sorriso, quello che gli apre tutte le porte.
– Le ho semplicemente chiesto “perché non te la togli quando facciamo l’amore?”
– E lei?
– Ha risposto “Hai detto facciamo l’amore?” e io ho annuito; e poi se l’è tolta, così, – faccio io schioccando le dita. – E a me ha tolto il fiato ciò che ho visto.
– Wow! – Dice allungando la mano. – L’accendo io se non ti dispiace.
– E non erano le tette a togliermi il fiato. So che non mi crederai ma una luce rossastra le pulsava sotto pelle in corrispondenza del cuore.
– Secondo me fumi troppo, – fa lui dopo averla accesa. – E ‘sta roba è potente, mica come il cioccolato che si rimediava a scuola.
– Guarda che non ti sto coglionando. Yuko la chiamava “la mia singolarità”. Ti ricordi lo tsunami del 2011?
– Certo che me lo ricordo, quello del casino di Fukushima, – ribatte prontamente. – E cosa c’entra?
– Il padre di Yuko era un tecnico della centrale. L’ultima volta che l’ha visto è stata tre giorni dopo l’incidente: la popolazione doveva essere evacuata e il padre chiese alla propria sorella di portare Yuko via con sé, a Tokyo, lontano dalla centrale. Lui invece lì dentro c’è morto.
– E la madre?
– È morta subito dopo il parto. Yuko ha sempre vissuto con il padre, e quando lui per salutarla l’ha stretta in un abbraccio, il loro ultimo abbraccio, il cuore di lei si è come sentito sotto attacco, bombardato e sottomesso. Ha usato proprio queste parole per descrivere quella sensazione, che ha riprovato anni dopo, facendo…

Il telefono di Boris squilla a massimo volume riproducendo Unravel, di Tokyo Ghoul. Erano anni che non la sentivo, da quando Yuko l’aveva impostata come sveglia sul suo smartphone – dopo che avevamo passato tutto un weekend insieme a vedere l’intera serie.
– Scusami, devo rispondere, – fa lui col cellulare in mano. – Eccomi, come stai? – Dice alzandosi dallo sgabello e allontanandosi un po’.

Che ha riprovato anni dopo facendo l’amore per la prima volta.
Facendo l’amore.
Amore.
Questo diceva Yuko.
Era l’amore a innescare la sua singolarità.
L’aveva capito.
Ogni volta che si innamorava.
Che faceva l’amore.
Il petto si illuminava.
Un pugno di carne che si apriva ed emanava luce.
Rossa. Calda.
In corrispondenza del cuore.
Un segno rosso.
La visibilità del sentimento.
Quanti uomini potrebbero approfittare di una situazione del genere?
Perché non farlo?
Lei lo sapeva.
Voleva solo proteggersi.
La maglietta.
Doveva proteggerla.
Anch’io volevo proteggerla.
Un drago.
Yuko, ti tatuo un drago!
Rosso. Come la tua luce.
Avvolto sul cuore.
Per difenderlo.
Via la T-shirt! Sì?
Quando vuoi. Anche subito!
Un drago rosso sul cuore.
Ma senza gli occhi.
Così non volerà via.
Rimarrà qui dove lo sto tatuando.
Custode del tuo mistero.
Che è per me una lama a doppio taglio.
Assisterò al progressivo sbiadire della tua luce anche sotto le sfumature del mio drago?
Al suo creatore non potrebbe nascondere il disamore del tuo cuore atomico.
Per questo me ne sono andato.
Yuko, cosa avresti fatto al mio posto?

– Devo scappare! – Fa Boris piazzandosi sotto il mio muso. – La tipa, quella che…

Io già non l’ascolto più.
– La porto a cena fuori… – continua lui svincolandosi verso l’uscita.
Sono ancora a Firenze, nello studio con Yuko e la mia fedele macchinetta a bobina che assicura il controllo totale del lavoro.
– Per il soggetto ti dirò, magari chiedo consiglio a lei…
Era davvero il meglio che potessi darle? Un tatuaggio e tutta la mia paura.
– Anche se non ho capito perché, va bene, niente draghi…
È sempre nei miei pensieri.
– Ma almeno toglilo dal catalogo…

Quel disegno sta lì per lei.
Un giorno, forse, tornerà.
A reclamare gli occhi del suo drago. Così che possa volare via.

– Ciao Lucio.

Solo allora saprò che Yuko mi ha perdonato.
Quando il drago della ragazza dal cuore atomico avrà gli occhi.

– Ti chiamo domani.

Un giorno.
Forse.

Autore

Tommaso De Martino
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Tommaso De Martinosogna di abolire le parole dalla comunicazione, ma sembra che ciò non sia ancora fattibile e allora tanto vale continuare a usarle per scrivere storie. Crede nella libera circolazione del sapere e in una cultura accessibile, tanto che nel 2022 autoproduce l’eBook diAll’osteria dello chef con una mano sola, il suo romanzosenzeditore, DIY, no copyright e in freedownload suwww.villarock.it/conunamanosola.
È il fondatore diEnne2 – eRivista letteraria, disponibile in eBook gratuito (nei formati ePub, AZW3 e mobi) al sitowww.villarock.it/enne2